A cura di Life Strategies
A tutti noi capita di vivere situazioni di conflitto, che sia nella vita di coppia, in famiglia o sul posto di lavoro. La via che troviamo più agevole è, spesso, sottrarci a un lungo dibattito, che può essere anche esasperante, e giungere il prima possibile a un compromesso, pur di non lasciare aperto un confronto.
Ciò è riconducibile anche al fatto che per molti di noi il concetto stesso di negoziazione ha in sé una connotazione negativa. In maniera più o meno inconscia, associamo questa parola ai concetti di conflittualità, di inganno, persino di prevaricazione basata su un utilizzo astuto della dialettica o delle nostre capacità di convincimento. In realtà, questo termine può – e dovrebbe – assumere una sfumatura decisamente più positiva: l’obiettivo di ogni confronto – e della negoziazione che ne deriva – è trasformare possibili contrasti in collaborazione, azzerare il conflitto e convertirlo in accordo.
Secondo il Professor Giorgio Nardone, la negoziazione si basa sull’utilizzo di tecniche di problem solving e persuasione.
Lungi dall’essere assimilabile ad azioni derivanti da atti manipolatori, essa è una delle arti più antiche, dato che l’essere umano la pratica da millenni: infatti, è proprio sul confronto di opinioni divergenti, e sul trovare un punto di convergenza tra punti di vista diversi, che si fondano molti degli aspetti costitutivi della nostra società.
Sedersi al tavolo negoziale
Il confronto, e il suo possibile esito positivo, si basano su un assunto fondamentale: essere disposti a sedersi al tavolo negoziale. Secondo Giorgio Nardone, esso “non è un luogo fisico, ma piuttosto una predisposizione mentale di tutti i soggetti” chiamati a risolvere il conflitto. Infatti, non è un caso se la stragrande maggioranza dei confronti fallisce non per un’errata comunicazione, ma per “l’assenza di desiderio nel trovare un accordo”.
La negoziazione, inoltre, deve avvenire all’interno di confini chiari e prestabiliti: non rispettarli significa generare nuovi livelli di conflittualità, che, a loro volta, richiedono ulteriori confronti e approfondimenti. Inoltre, l’obiettivo di ogni confronto è trovare una soluzione, non individuare il colpevole, né stabilire chi ha ragione.
Percepire, ascoltare e valorizzare la controparte per risolvere i conflitti
Per iniziare a negoziare, dobbiamo metterci nella condizione di percezione dell’altro. Dobbiamo, cioè, fargli sentire che riteniamo la sua percezione ragionevole e aggiungere al suo punto di vista ulteriori spunti e riflessioni. La prospettiva aggiuntiva non deve essere mai contraddittoria, mai un braccio di ferro, ma un arricchimento delle argomentazioni altrui. È questo procedere per step e in maniera incrementale che consente di riorientare, insieme i punti, di vista e giungere al punto in cui essi coincidono o, almeno, possono coesistere.
Secondo Giorgio Nardone, infatti, “gli accordi spesso non consistono nel raggiungere esclusivamente ciò che vogliamo, ma nel costruire insieme all’altro una soluzione alternativa che non avevamo preso in considerazione”.
Altro ingrediente indispensabile è la capacità di controllare le proprie emozioni. Anche lo sguardo, la postura, la comunicazione non verbale sono aspetti fondamentali per il buon esito di qualsiasi negoziazione. Quando due persone di eguale forza si incontrano per negoziare, se una assume un fare assertivo e uno sguardo muscolare, l’altra reagirà per istinto mettendosi sulla difensiva e generando un’escalation simmetrica.
Qual è il rischio peggiore che si corre in una negoziazione? È il giudizio implicito, che si determina quando la negoziazione non ha termini chiari e definiti e al di sotto della coscienza si crea un’idea dell’interlocutore. È il momento in cui scatta la prima psicotrappola: pensare che l’altro farebbe la stessa cosa che faremmo noi al suo posto.
L’autovalutazione e la regola relazionale
Altro presupposto alla base di una negoziazione di successo è la regola relazionale, secondo la quale prima si dà e poi si chiede. Infatti, la prima cosa da evitare è mettere la controparte nella condizione di credere che stiamo pretendendo qualcosa, come se fosse un nostro diritto.
E ciò vale anche nelle situazioni in cui c’è un evidente disequilibrio di potere, come tra dipendente e titolare quando si richiede un aumento. Spesso siamo portati a pensare che il semplice fatto di aver passato alcuni anni all’interno dell’azienda sia sufficiente per ottenere una maggiorazione dello stipendio. Se ciò può essere vero a livello legale o contrattuale, è altrettanto indubbio che la dinamica che si instaura in casi come questo è di tipo relazionale. Per questo, ancora prima di richiedere l’aumento è importante sottolineare quali sono stati i risultati concreti che siamo riusciti a produrre all’interno del team o a livello aziendale.
Quando riusciamo ad autovalutarci, infatti, assumiamo una posizione negoziale più forte perché, sicuri degli obiettivi che abbiamo raggiunto, riusciamo anche a dimostrarli e ad utilizzarli come leva per aprire un confronto che non sia unidirezionale, ma un momento in cui si aprono porte per un processo di ulteriore miglioramento condiviso.
Continueremo a parlare di dialogo e cambiamento strategico, di psicotrappole e di scienza della performance in uno dei prossimi corsi con il professor Nardone. Scopri gli appuntamenti di cui sarà protagonista cliccando qui.