Meditazione: facciamo un passo indietro
“Essere resilienti è una caratteristica intrinsecamente umana.”
– Pietro Trabucchi
Per lo psicologo Pietro Trabucchi la resilienza è forse l’attitudine umana per eccellenza. Questo perché siamo predisposti ad affrontare difficoltà e ad adattarci al cambiamento senza perdere la spinta motivazionale. Aggiungiamoci, poi, che oggi si parla tanto di stress, ma a sproposito.
Che cosa intendiamo per stress?
Entro un certo livello, noi esseri umani siamo in grado di gestire lo stress. Anzi, ne abbiamo proprio bisogno! La mancanza di richieste da parte dell’ambiente atrofizza il nostro cervello. I nuovi neuroni, se non stimolati, non sopravvivono. In termini collettivi, la resilienza è davvero indebolita, ma ognuno di noi, messo alle strette, è capace di attingere alle proprie risorse interne e di tirare fuori il coraggio di sconfiggere i fantasmi interiori. Questo è ancora più vero se pensiamo che è tipicamente umano avere difficoltà a prestare attenzione alle cose non piacevoli della vita. È come se il nostro “io” cercasse continuamente di proteggersi dalla “troppa realtà”.
Come abbiamo visto nell’articolo precedente, tendiamo a non avere una percezione diretta e oggettiva del reale e questo è ancora più forte se aggiungiamo il fatto che la stragrande maggioranza dei nostri pensieri quotidiani consiste in giudizi, opinioni, supposizioni, fantasticherie ad occhi aperti.
“Il vagare in sé non è un errore. È l’attività propria della mente. Il problema è il rapporto che abbiamo con questo vagare”.
Tutti questi pensieri negativi, se ci rifiutiamo di riconoscerli in modo consapevole, non fanno altro che attivare un circolo vizioso di emozioni, reazioni fisiche e stati d’animo dannosi: in alte parole, queste attività mentali trasformano le situazioni in problemi.
“Possiamo decidere di passare la nostra vita a sognare,
oppure decidere di stare con ciò che è qui e ora”.
– Pietro Trabucchi
Sono tantissime le persone che rimangono imprigionate in un loop infinito di pensieri e immagini mentali, finendo per trascorrere gran parte del tempo della loro vita in posti che non si trovano nel “qui e ora”. Invece, è fondamentale evitare questo continuo dissociarsi dal presente e rientrare maggiormente in contatto con quello che c’è dentro di noi, che non è sempre piacevole o gradevole, ma è reale.
Molte nostre paure sono assolutamente “reali”, ma non “concrete”. Detto in altre parole: non possiamo combatterle fisicamente né risolverle o seminarle, dandoci alla fuga come gli uomini preistorici. Il nostro cervello non è progettato per distinguere tra:
- Stressor concreti, come un cane che sta per mordermi
- E stressor intangibili, come ad esempio la paura del futuro e dell’insuccesso, l’incertezza lavorativa e l’ansia della crisi.
Non riuscendo a fare questa distinzione, il nostro cervello reagisce ad entrambi gli stressor con lo stesso identico metodo di milioni di anni fa, vale a dire con la lotta o con la fuga. In questo modo, l’ipotalamo finisce per provocare continuamente reazioni ormonali, che non servono a nulla, ma che cronicizzano lo stress. Quando il nostro corpo è pieno di ormoni dello stress, ci invia un messaggio ben preciso: “Sei in pericolo. Cambia le priorità. Focalizzati solo sulla tua sopravvivenza e demolisci tutto ciò che non è necessario”. A questo punto, è normale che si fermi tutto ciò che disperde energia: il sistema immunitario rallenta, le funzioni sessuali vengono inibite, il metabolismo cambia.
Più contatto e consapevolezza
Non siamo vittime passive delle situazioni stressanti: la nostra reazione alle difficoltà dipende in buona parte da come le vediamo e come leggiamo le nostre capacità di affrontarle. Saper interpretare le sensazioni del nostro corpo è un passaggio chiave. Perdere il contatto con il corpo ci fa dissociare dalla realtà e, poiché ci troviamo sempre più a dover fronteggiare pericoli immateriali come la paura dell’insuccesso, i meccanismi di risposta corporea risultano sempre attivi. Solo un rapporto solido con il proprio corpo consente di normalizzare queste reazioni. Ignorare le nostre sensazioni corporee provoca effetti sul funzionamento del nostro organismo. Ne è un esempio quello che ha dimostrato la ricerca a proposito delle diete: una persona attenta e connessa con se stessa tende a ingrassare di meno. Il motivo è semplice: c’è più contatto e consapevolezza dei segnali corporei, in questo caso di fame o di sazietà.
La pratica meditativa come risposta allo stress
Alla continua esposizione allo stress e al nostro essere perennemente immersi in un luogo possiamo rispondere, secondo Pietro Trabucchi, con la meditazione. Per Daniel Goleman, padre della teoria dell’Intelligenza Emotiva, la pratica meditativa è “nell’essenza, lo sforzo di riaddestrare l’attenzione”. La meditazione ha due grandi vantaggi:
- Come la tecnica ABCDE (che abbiamo affrontato in questo articolo), la pratica meditativa contribuisce a depurare la nostra visione del mondo, anche perché aiuta ad accettare ogni accadimento.
- Facilita la gestione delle reazioni fisiche allo stress.
Un importante beneficio della meditazione è, infatti, la sua capacità di contrastare gli effetti fisiologici dello stress, in quanto:
- Regola la produzione di cortisolo e di noradrenalina, che sono ormoni propriamente legati allo stress cronico
- Diminuisce la pressione sanguigna
- Contribuisce alla generazione di serotonina, il neurotrasmettitore legato all’umore
- Migliora le difese immunitarie.
Secondo l’aspetto neurofisiologico, la meditazione apporta una modifica nel rapporto di attivazione tra emisfero sinistro ed emisfero destro (aumentando quella sinistra), migliorando la modulazione dei circuiti cerebrali che si occupano, non a caso, della risposta emozionale.
Alcuni consigli di Pietro Trabucchi sulla meditazione
- Da solo posso sbagliare? Non avere paura. Non esiste un modo giusto o sbagliato di meditare, proprio perché non devi raggiungere un risultato specifico. Se ti accorgi di provare noia, fastidio, ansia, rabbia, non ti preoccupare. Non stai sbagliando: tutto quello che avviene è meditazione.
- Quanto devo meditare? Non è importante la durata: puoi meditare per alcuni minuti o per un tempo enorme. E non è così rilevante che la meditazione sia praticata il mattino o la sera.
- Quando è meglio dedicarsi alla meditazione? Idealmente, la prima risposta potrebbe essere “dovresti sempre cercare di essere con la mente in uno stato meditativo”. Meglio essere realistici, però, e cercare di ritagliarci dei precisi spazi nell’arco della giornata. L’importante è non vedere questo momento dedicato alla meditazione come uno spazio “altro” rispetto al resto della nostra vita. L’auspicio è che con il tempo questi due spazi siano la stessa cosa.
Attenzione a non cadere in una trappola molto comune: idealizzare la meditazione, ritenendola la chiave per risolvere tutti i problemi. Se è vero che questa pratica può renderci più resilienti, non ci schermerà dai problemi e dalle difficoltà della vita. Troppo spesso ci aspettiamo di poter cambiare, come d’incanto, il nostro stato d’animo. Un altro consiglio è quello di cercare di non vedere come “negative” emozioni quali ansia e senso di frustrazione, perché, al pari di quelle cosiddette “positive”, sono segnali, ci avvertono che qualcosa non sta funzionando.
Meditazione: la “tecnica”
Le “tecniche meditative” sono numerosissime e possono anche essere molto semplici, perché non dobbiamo focalizzarci solo sulla forma esterna, quanto sui processi mentali. Mettiamo “tecnica” tra virgolette perché il termine può apparire inappropriato. Come spiega Trabucchi, “la tecnica non è il fine, ma il mezzo.” Trabucchi propone questa modalità, frutto dalla sua esperienza nella Clinica per la riduzione dello stress presso l’Università del Massachusetts:
“Siediti. Porta la tua attenzione al respiro che senti nella pancia.
Non c’è bisogno di concentrarti sui contenuti della tua mente: il tuo obiettivo, ora, non è quello di cambiarli, ma di trasformare il rapporto che hai con essi. Osservali solo. Se sopraggiunge ansia, va bene. Se sopraggiunge disagio, va bene. Se sopraggiunge impazienza, va bene.
Ciò che conta è osservare quello che hai dentro e che senti, senza reagire frettolosamente. Se la mente vaga, osserva per qualche istante che cos’è che la sta distraendo. Con delicatezza, riporta l’attenzione sul respiro…”
Alla fine, noterai che il tuo ritmo respiratorio sarà di circa 6 cicli al minuto, un ritmo che conduce a ottimi benefici dal punto di vista fisiologico. Stare con quello che c’è, senza provocare reazioni, è davvero molto difficile. Con il tempo, sapremo fare nostra l’attitudine ad accettare sentimenti ed emozioni spiacevoli, a rimanere distaccati dai nostri pensieri, ampliando quella capacità di decentrarsi, per vivere i pensieri per quelli che sono e non come copie fedeli della realtà.